Osservazione

Che c’è ancora da dire sulla questione talento/predisposizione naturale e compagnia danzante?

Una cosa semplice: potete farvi un bagaglio culturale, potete nutrirvi di ogni genere e tipo di stimolo ed esperienza (per citare Neil Gaiman “do a lot of living”).

Ma questo, mi obietterete, possono farlo tutti. Cosa mi distingue dagli altri?
Io partirei dalla capacità di osservare.

Noto, sia -in generale- fra la gente, sia negli inediti che vedo, che spesso manca l’attenzione al dettaglio.

Nel post in cui ho analizzato due episodi di Del Toro, parlavo dei dialoghi di Tarantino. Se non li avete presente fatevi un favore e recuperatevi la scena iniziale de “Le Iene”: non stanno facendo progredire la storia, stanno a malapena caratterizzando i personaggi, il tutto parlando di una cosa assolutamente irrilevante. Ma alzi la mano chi non vorrebbe intromettersi nel discorso e dire la sua.

E poi continuate sempre con “Le Iene” e guardatevi la scena di Tim Roth che si prepara a raccontare una grandissima balla. Il discorso sui dettagli. Voi sapete dall’inizio che è una balla, ma alla fine, quando la racconta davvero, voi ve la state bevendo tutta quanta e sareste pronti a chiedere “e poi come va a finire???”.

Avete mai giocato a fare “people watching”?

Ecco, da questa seconda parte di discorsone voglio lasciarvi un compito a casa: andate al centro commerciale, o in piazza in città, insomma andate dove c’è un sacco di gente a caso, e mettetevi a osservare.

L’avete mai notata la signora che, a prima vista, sembra vestita come una pazza, ma poi capite che ha voluto coordinare pantaloni, cappello e polsini della giacca?

E il tizio che non si è accorto di avere su il maglione al contrario? O il bambino che, tranquillo e incosciente, sta per prendere per mano un signore che ha lo stesso cappotto del nonno, ma non è suo nonno? E il cane che sente un sibilo inudibile per gli altri, lo vedete come impazzisce?

Oppure ancora il che la O della scritta appiccicata in vetrina inquadra perfettamente il registratore di cassa, da questa angolazione, mentre da quella fa sembrare il manichino un pesce.

Se non avete mai fatto questo gioco, ve lo consiglio.

E poi passate al livello di difficoltà superiore. Inventatevi una storia.

La vecchina con in mano un mazzo di garofani rosa sta andando al cimitero, oppure ha appena ricevuto un regalo da un misterioso ammiratore segreto? E il ragazzino con l’aria da duro, appoggiato al muretto per fumarsi una sigaretta, dormirà ancora con il peluche o forse è il palo per una babygang? Invece quella bambina tutta rosa che saltella in piazza… se fosse un alieno sceso a studiarci, cosa starebbe pensando?
Non devono essere veritiere, nemmeno verosimili, è solo un esercizio perché sono i dettagli a cui fate caso che possono suggerirvi o giustificarvi una versione piuttosto che un’altra.

Non si osserva abbastanza, si va sempre troppo di corsa e si scade nei cliché, nelle forme trite e ritrite. L’occhio che ha un tic per la pressione alta, il mangiarsi le unghie per il nervoso, le guance rosse per l’imbarazzo. Ok, sono codifiche che al volo funzionano… ma perché scrivere tutti sempre la stessa cosa?

Sapete cosa mi è piaciuto di King, quando ho iniziato a leggerlo da ragazzina? Che descriveva certe sensazioni esattamente per come le provavo io, usava parole che avrei voluto usare io per esprimermi.

Certo, mangiarsi le unghie è un segno di agitazione, però magari a qualcun altro -se lo osservate- viene da parlare a voce più alta, o spalancare gli occhi tipo daino davanti al camion. Se voi lo osservate, scrivendo potete farlo vedere anche ad altri. 

E questo è scrivere. Non solo mandare avanti le parole per dire una storia.

Osservare, badare ai dettagli, mettere tutto insieme.

“Sì, oh, wow, che chiusura poetica ma anche se osservo, se poi l’ispirazione non ce l’ho, che si fa???”

Di ispirazione parleremo nel prossimo post 😉

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